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Pamela Mele e In Felicità #34: Intervista

Intervista a Pamela Mele, 44 anni, sposata con due figli. Professione Logopedista.

Lei all’inizio del 2014 ha intrapreso un percorso terapeutico in ABA, nella sede di Roma. Ci può spiegare il motivo di tale iniziativa?

Sono giunta nella sede ABA di Roma dopo una serie di terapie fallimentari. Il mio disturbo alimentare di tipo anoressico aveva raggiunto un livello d’emergenza importante ed emotivamente cominciavo a non sentirmi più equilibrata nella gestione dei rapporti interpersonali sempre più ridotti. Da sempre avevo intravisto in ABA una speranza di guarigione. Sono intimamente convinta che i centri fondati da persone che hanno affrontato dolorosamente la malattia, abbiano un valore aggiunto, specie nella fase dell’accoglienza e aiuto

Ha avuto modo di interloquire con più figure professionali in questo contesto?

Dopo alcuni colloqui preliminari con consulenti accoglienti e motivanti, il centro mi ha indirizzato al terapeuta più congeniale alle mie esigenze che mi avrebbe seguito durante il mio percorso. Mi è stata successivamente consigliata una consulenza con il medico collaboratore del centro che ho accettato fin da subito. Voglio ricordare l’umanità e al contempo la preparazione medica in ambito DCA della dottoressa che mi ha accolto e sostenuto con una sensibilità materna.

In ABA non trattano pazienti ma persone e questa per me era diventata una certezza. Anche a mio marito è stata offerta la possibilità di una consulenza psicologica. I familiari sono bisognosi di risposte sul comportamento da adottare rispetto al disturbo. Non è semplice capire cosa è giusto fare quando si è intimamente coinvolti. Ad un certo punto la malattia dilaga su tutto. Dopo un anno circa di terapia individuale ho intrapreso una terapia di gruppo che mi ha aiutata ulteriormente a migliorare aspetti importanti per il mio divenire.

Quali cambiamenti ha prodotto questa esperienza nella sua vita?

Posso dire oggi di essere padrona della mia vita. Non sono la mia malattia, non ne sono più ostaggio. Sono consapevole di ciò che è stato e definisco il mio disturbo una “silente presenza”. Sono stata anoressica per oltre vent’anni nascondendomi dietro una presunta normalità, mentre collezionavo danni fisici e sofferenze dell’anima. Ora ho un rapporto con il cibo molto più sano e consapevole. Parlo dei miei problemi e dei miei trascorsi. Mi sono finalmente accettata e restituita agli altri nella mia autenticità. Credo sia questa la vera magia!  L’altro prima era tenuto a debita distanza per paura di non essere accettata o per la mia naturale tendenza ad adeguarmi, a compiacere, ad essere sempre come mi si richiedeva. Ora ho capito che la condivisione è il mio potenziale energetico, così lo definisco. Ho capito veramente chi Sono e cosa Voglio, domande alle quali all’inizio della terapia riuscivo a rispondere con lunghi silenzi e pianti soffocati. Oggi mi sento meravigliosamente imperfetta come tutti! E’ una frase che ripeto spesso.

Lei ha avviato un progetto importante recentemente. Ci può descrivere com’è nata l’idea e che ripercussioni ha avuto sulla sua vita?

Durante il periodo più buio del mio percorso ho sempre pensato che se ce l’avessi fatta, avrei dato il mio contributo alla lotta contro i DCA. Ho deciso così di scrivere un libro per raccontare la mia esperienza nella speranza di poter essere di aiuto. Il disturbo alimentare ti condanna a una vita di rinunce e solitudine in cui ci si auto castiga. Tanto è stato fatto e tanto c’è ancora da fare. A differenza di molto tempo fa penso che le persone siano pronte ad ascoltare; c’è una sensibilità sicuramente maggiore rispetto ai disturbi alimentari. E’ chi ne soffre che tende ancora a nascondersi nella vergogna; invece è nel momento in cui si riesce a parlare che si può essere compresi. Sono da sempre una fan di Luciano Ligabue e durante il mio recupero ascoltare la sua musica mi ricordava ciò che ero e quali erano le mie passioni. La malattia a un certo punto mi ha tolto tutto e forse le prime cose che ho visto scemare sono state proprio le piacevoli abitudini che sceglievo come tutti come aspetto goliardico e ludico della vita (quel piacere  che spesso le anoressiche non si concedono). Ho scelto di dedicare a lui questo libro nel quale ho intrecciato i miei pensieri sui versi delle sue canzoni. Un po’ è stato un modo per mandare un messaggio di speranza, un po’ per sottolineare il fatto che l’anoressia è una malattia democratica che colpisce chiunque, anche una fan del Liga, una fra tante.  Simbolicamente ho scelto che la musica rappresentasse la passione persa e quella restituita nel momento della ricongiunzione magica con se stessi.

Con queste intenzioni nasce “In felicità#34”. Il libro è stato per me un’esperienza importante per ripercorrere le tappe del mio processo di crescita interiore. Dopo essermi interrogata “sulle direzionali” della mia vita ho imparato a far fluire il mio  pensiero, come spesso il mio psicoterapeuta mi incitava a fare, e la scrittura mi è apparsa come una chiave di volta. Ho capito che, tra le tante altre cose, mi piace scrivere. E anche fare molto altro! Oggi lo so.

Molte persone, dopo aver letto la mia storia mi cercano per saperne di più. Alcune mi confidano di avere gli stessi miei disagi con il cibo; è come se il mio “coming out” fosse per gli altri un invito a concedersi. Altri si ritrovano in un mal di vivere comune che trova diverse modalità “patologiche” di espressione. Altri ancora si complimentano solo per il coraggio di aver raccontato. La condivisione dell’esperienza e della sofferenza mi è tangibile. Il sostegno e l’amore che sto ricevendo sono finalmente l’appagamento dell’essere me stessa. Mi ritengo in grado di dire la mia e di essere ascoltata per ciò che ho da dire, come se gli altri avessero sempre atteso che facessi questo passo. Questo vale soprattutto per le persone a me più vicine alle quali mi sono restituita con la mia verità, concedendo a loro libero accesso a me. Quella “me” inavvicinabile perché non ho mai permesso a nessuno di mettersi tra me e il mio disturbo fortemente negato.

Ho deciso di creare un blog e una pagina FB che si chiama “farfalle di vetro”, per creare uno spazio condiviso, sebbene virtuale, di scambio di idee e pensieri.
Sto presentando il libro in diverse situazioni. Considerato il legame con la musica, molto spesso mi capita di legare le presentazioni a serate tributo di Ligabue o alle attività dei fan club. Non so dove mi porterà tutto questo. La mia idea è quella di contribuire come posso, collaborando con associazioni sul territorio o sostenendo progetti attraverso la mia personale esperienza.
Nel frattempo continuo a scrivere!

Desidera inviare un messaggio a chi soffre di disturbi alimentari, forse riportando qualcosa che ha scritto nel suo libro, un pensiero o una canzone particolare?

Quello che mi viene subito in mente è di non trincerarsi, anche se so che è la malattia che lentamente ti castiga alla solitudine. Il momento più doloroso di tutta la mia malattia è arrivato quando, insieme alla consapevolezza del mio stato psicofisico, mi sono accorta della profonda solitudine che sentivo e alla quale mi ero lentamente condannata. E’ stato solo quando mi sono aperta al mondo con la mia verità che ho capito che gli altri non aspettavano che questo. Le persone che ci vogliono bene vedono, intuiscono ma non sanno cosa fare per noi. Non sanno come arrivare a Noi.
Ho detto più volte che per lungo tempo non mi sono lasciata trovare.
Il messaggio che trapelava dal mio star male era proprio questo: “non voglio essere cercata”. L’anoressia è un grido d’aiuto dell’anima. Ora ho imparato che l’aiuto va chiesto e non preteso, soprattutto non si può utilizzare il corpo per accorciare o allungare le distanze con l’altro. Ho sempre pensato che nessuno avesse bisogno di me e che, tutto sommato, di me, anzi, della “non me”, tutti potessero fare a meno. Invece oggi mi dico che ognuno è una risorsa per l’altro e che la condivisione è il primo vero passo verso la guarigione. Il mio consiglio a tutti è di chiedere aiuto perché le persone ci sono e sono pronte ad ascoltarvi. Una canzone del Liga che non è citata nel libro perché è nel nuovo album recita: “dici che nasce sempre da dentro ogni momento di felicità”. Cercate dentro di voi e mettete gli altri in condizione di poter far qualcosa per voi.
“Eri in mezzo ad una vita che poteva andare anche se non si sapeva dove” (cit. “Quella che non sei”. L. Ligabue). E’ proprio così! E vale la pena riprendersela quella vita e goderne a pieno. Io ho vissuto per troppo tempo una vita a metà. Poi ho scelto di vivere e concludo con una frase che mi ripeto spesso: “ Le cose nella vita hanno un solo senso. Quello che decidi di dargli tu!”.

Desidera fare ulteriori considerazioni?

Come ultima considerazione vorrei dire che si sono ottenuti grandi risultati in termini di informazione prevenzione e cura  dei DCA, grazie a centri come ABA. Credo che le campagne di sensibilizzazione non siano mai abbastanza. I disturbi alimentari sono sempre più un’emergenza sociale e a volte ci si dimentica che parliamo di vere e proprie malattie. Una malattia è un fatto. Nessuno sceglie di star male.  Si può scegliere di guarire, ma non di ammalarsi. L’anoressica non è un’adolescente che fa i capricci, come la bulimica non è una golosa impenitente.
E’ importante ribadire che siamo davanti a patologie pericolose che, se non uccidono, costringono ad una “non vita”; ci sono strutture specializzate alle quali rivolgersi ed è importante farlo. L’intervento tempestivo è senz’altro fondamentale e un buon indice di successo per la guarigione.

A cura di Pamela Mele e del Dott. Valerio Galeffi

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